Ambiente: agricoltura e qualità dell’aria

Dopo le sparate di Milena Gabanelli quelle di GreenPeace. Il Corriere della Sera persevera nel dar spazio alla disinformazione avanzata dalle lobby ambientaliste. A conferma di come anche i quotidiani una volta più autorevoli si siano piegati alle logiche del mercato e della politica.

Sono molte sono le accuse a sfondo ambientale mosse all’agricoltura. In special modo alla zootecnia, accusata di essere fonte primaria di inquinamento e, in particolare, delle emissioni relative alle polveri pm10 e pm2.5. Ultimo attacco in tal senso quello avanzato da Greenpeace sulle pagine del Corriere della Sera del 29 aprile scorso snocciolando dati e trend percentuali ufficialmente tratti da un report Ispra, ma di fatto diversi e contrari rispetto a quelli presenti proprio da tale report. Con trend percentuali che ipotizzano un peggioramento delle emissioni agricole, quando è vero l’opposto. Fra i dati fuorvianti più eclatanti un presunto 17 per cento di emissioni di polveri sottili dovute ai soli allevamenti. Un dato non presente nel report, quindi inventato di sana pianta probabilmente sommando fra loro il 13 per cento delle emissioni di polveri pm10 con il tre e sette per cento di quelle pm2.5, emissioni attribuite alla zootecnia mentre Ispra le attribuisce all’intero comparto agricolo. Gli estensori dell’articolo sottolineano anche come il contributo degli allevamenti all’inquinamento sarebbe salito dal sette per cento del 1990 al 17 per cento del 2018. A prescindere dalla falsità di quel “17 per cento” di partenza, Greenpeace se ne guarda bene dal far sapere che in realtà il report Ispra evidenzia un valore dei PM10 di origine agricola sceso dalle 33 mila tonnellate su 296 mila, anno 1990, alle 23 mila su 177 mila del 2018, pari al 13 per cento del totale. Tali emissioni sarebbero cioè calate del 30 e tre per cento. Analogamente, anche il valore dei PM2.5 di origine agricola è sceso dalle settemila tonnellate su 229 mila del 1990 alle cinquemila tonnellate su 143 mila del 2018, pari a poco più del tre e mezzo per cento sul totale e calate del 28 e sei per cento rispetto al 1990 .

Un trend migliorativo quindi, che pochi altri comparti possono vantare e che si riflette anche su altri inquinanti atmosferici causa di particolato secondario, cioè quello che si forma per aggregazione in aria di alcuni gas quali, per esempio, gli “SOx”, ossidi di zolfo, gli “NOx”, ossidi di azoto, e l’ammoniaca. La combinazione di solfati e nitrati d’ammonio genera un inquinamento corpuscolare non trascurabile sul totale delle polveri sottili rappresentandone il 50 per cento circa. Ovviamente a tale produzione concorrono tuti i settori, ma essendo l’agricoltura forte produttrice di ammoniaca di origine zootecnica ecco che fa comodo scaricare solo su tale comparto tutte le responsabilità del caso. Peccato che per dar luogo ai all’inquinamento corpuscolare servano tutti e tre i gas e quindi, oltre all’ammoniaca prodotta dal comparto primario, anche gli “NOx” e gli “SOx” che invece produce in percentuali minime sul totale. Il sette e 62 per cento gli “NOx” e lo zero e uno per cento gli “SOx”.

Con gli ossidi di azoto di origine agricola scesi peraltro dal 1990 al 2018 da 62 mila tonnellate a 51 mila, pari a un calo del 17 e sette per cento e gli ossidi di zolfo invariati. Analogo trend migliorativo anche per l’ammoniaca, scesa del 23 e tre per cento dalle 450 mila tonnellate del 1990 alle 345 mila del 2018. Di fatto accade che il 95 per cento circa degli ossidi di zolfo derivi da combustioni e dei processi di tipo industriale, produzione di energia e riscaldamenti, mentre gli ossidi di azoto provengono per oltre il 90 per cento da attività industriali, energetiche, civili e dai trasporti, con questi ultimi responsabili nel 2018 del 43 e mezzo per cento del totale. Ergo, il particolato secondario deriverebbe solo per un terzo dall’ammoniaca agricola, tant’è che gli studi proposti da Arpa Lombardia stimano che una riduzione del 25 per cento delle emissioni di ammoniaca agricola potrebbe comportare un calo del pm2.5 di due soli punti due e mezzo percentuali in primavera e di poco più di tre in autunno.

Emissioni di PM2.5 dal 1990 al 2018 (Gg). Fonte: Report Ispra

Quindi appare capzioso e per certi versi inutile ai fini del contenimento dell’inquinamento chiedere alla zootecnia di far calare le sue emissioni di ammoniaca se la stessa richiesta non è avanzata anche a tutti gli altri comparti produttivi ed estesa anche agli altri due gas. Va da sé ovviamente che ogni sforzo utile vada fatto, per esempio migliorando la gestione di liquami e delle deiezioni nelle fasi di stoccaggio e spandimento in campo, ma da qui ad accusare la zootecnia e l’agricoltura intensiva di essere fra le prime responsabili delle emissione di polveri sottili risulta del tutto mistificatoria, al punto da chiedersi se ancora il Corriere della Sera è l’autorevole quotidiano di un tempo o non sia piuttosto diventato il portavoce ufficiale dei settori ambientalisti più faziosi ed estremi. Nel dubbio, meglio non comprarlo.

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