Fake news: chi sa fa, chi non sa critica

Prosegue la criminalizzazione mediatica di agricoltura e zootecnia perpetrata da Rai 3. Ultimi esempi della serie, la puntata del sei aprile di “Indovina chi viene a cena”, programma condotto da Sabrina Giannini, versione malriuscita di Milena Gabanelli, e la puntata di “Report” del 12 aprile scorso. In quest’ultima, ha prestato la sua immagine al gioco al massacro contro il comparto primario italiano anche il presidente di Coldiretti Ettore Prandini che solo in seconda battuta si è poi dissociato.

Vi sono persone che affrontano i problemi cercando di trasformarli in opportunità e altre che davanti a un’opportunità vedono solo problemi. Di solito le prime sono quelle che fanno progredire il Mondo, le seconde quelle che invece criticano le prime essendo incapaci di fare altrettanto. A livello agricolo tanti sono gli esempi di chi, davanti a un problema, non solo lo ha risolto, ma ha anche dato luogo a una crescita del settore. Come accadde quando i chimici tedeschi Fritz Haber e Carl Bosch permisero agli agricoltori di raddoppiare le rese grazie ai loro studi sui tanto deprecati fertilizzanti azotati o, in Italia, quando l’agronomo Nazareno Strampelli nella prima metà del secolo scorso riuscì a raddoppiare la produttività dei cereali grazie a incroci genetici talmente rivoluzionari da fare urlare allo scandalo. Proprio come oggi accade contro gli ogm. Poi venne l’americano Norman Borlaug, padre della tanto vituperata “Rivoluzione verde” basata su chimica, genetica e meccanizzazione, tecniche colturali che permisero di triplicare le rese di grano senza quasi aumentare le superfici coltivate. Se si fosse rimasti alle rese degli Anni 50 oggi per soddisfare il mercato sarebbero necessari 12 milioni di chilometri quadrati in più di terra, più del doppio della superficie della foresta amazzonica.

Anche la zootecnia si è evoluta di pari passo, tant’è che per produrre un chilo di carne di pollo, per esempio, serve oggi la metà del mangime che serviva negli Anni 50 o 60. Un’evoluzione peraltro registratasi anche per le lattifere se si pensa che nel 1944 negli Stati Uniti c’erano 25 milioni e 600 mila vacche da latte che producevano 53 milioni di tonnellate di latte, mentre nel 2007 le bestie si erano ridotte a nove milioni e 200 mila unità a fronte di una produzione di latte salita a 84 milioni e 200 mila tonnellate. Un incremento del 59 per cento della produzione e una riduzione del 64 per cento dei capi allevati. Con le emissioni di anidride carbonica per litro di latte scese del 63 per cento in circa 60 anni: dai tre chili e 660 grammi per litro del 1944 al chilo e 350 grammi del 2007. Molto di più inquinando molto di meno dunque, visto che nonostante siano più che quadruplicate le produzioni pro-capo di latte rispetto ai bucolici scenari del 1944 il comparto lattifero americano ha ridotto il proprio carbon footprint del 41 per cento. Un’impronta carbonica che però, attenzione, non tiene conto dei gas serra assorbiti dalle colture foraggere necessarie per allevare il bestiame. Da uno studio presentato nel 2019 alla conferenza internazionale “3rd Agriculture and Climate Change” di Budapest, si evince in effetti come la produzione di foraggi abbia sottratto all’atmosfera poco meno di 23 gigatonnellate di anidride carbonica, contro le circa cinque gigatonnellate e mezza emesse. Un dato, quello considerato dai ricercatori, leggermente più alto di quello stimato daI pcc, “Intergovernamental panel for climate changes”, pari a cinque gigatonnellate, ma comunque allineato. Di fatto accade che le masse di gas serra assorbite dalle colture necessarie per allevare il bestiame sarebbero più del quadruplo di quelle emesse, affermazione suffragata dalle ricerche Epa, l’Agenzia americana per la protezione ambientale, che han fissato nel nove per cento delle emissioni inquinanti totali americane quelle dovute all’agricoltura nel suo insieme. Contro il 29 per cento dei trasporti, il 28 per cento della produzione di energia elettrica e il 22 per cento delle industrie.

Emissioni di gas serra Paesi EU28, 2014. Fonte: Ipcc

Risultano quindi essere vere e proprie fake news, falsità per dirla in italiano, le affermazioni di chi, sulla base di dati farlocchi o, peggio, solo sulla base di ideologie personali, continua a criminalizzare gli allevatori di bestiame dei Paesi evoluti accusandoli di essere fra i responsabili primi dell’inquinamento globale, esattamente come è falso affermare che maltrattino i propri animali o accettino di allevare specie a rischio solo per scopi di lucro. Un esempio in tal senso il salmone “Aqua Advantage”, transgenico, accusato di mettere a rischio la fauna marina se rilasciato in natura. La verità è che per arrivare al peso di macellazione richiede la metà dei mangimi dei salmoni attualmente allevati e quindi dà luogo a risparmi enormi, anche in termini ambientali. Inoltre gli allevamenti sono realizzati a terra e costituiti da femmine sterili, quindi anche se rilasciate non potrebbero comunque riprodursi. Ciò nonostante anche tale salmone è sotto attacco da quanti temono una sua diffusione in mare, gente che, come accennato, davanti a un’opportunità vede solo un problema e sulla base delle proprie fobie vorrebbe fermare il progresso. Dimenticando però che se oggi negli Stati Uniti ci si ciba di miele, considerandolo un prodotto naturale, è solo perché vennero importate le supposte innocue api mellifere europee. Lungi però dall’essere le simpatiche bestiole presentate dai media, queste ingaggiarono una feroce competizione con quelle selvatiche locali, trasferendo loro anche patologie e parassiti portati con sé dal Vecchio Continente, Varroa in primis. Trattasi quindi delle stesse api, allevate in modo tanto intensivo quanto sottaciuto, che con le loro morie sono divenute uno dei principali cavalli di battaglia anti-pesticidi dei comunicatori pseudo-ambientalisti, cioè quelli che dipingono perennemente l’agricoltura come una sorta di mostro che sta distruggendo il Pianeta.

Report: puntata 12 Aprile

Un tema da sempre caro a Rai 3, che dopo aver perso Milena Gabanelli, andata a raccontarle su La7, viene ora promosso da una sua aspirante emula, Sabrina Giannini, titolare del programma “Indovina chi viene a cena” che da tempo trasforma appunto molte delle sue puntate in attacchi all’agricoltura e alla zootecnia. Un giorno dando addosso a glifosate e un altro criminalizzando gli allevatori di bestiame, come avvenuto il sei aprile scorso. Nulla di nuovo, intendiamoci, solo la solita minestra riscaldata di accuse fini a se stesse, avanzate senza che alcuno abbia la minima possibilità di contestarle, ragion per cui né il programma né la conduttrice meritano attenzione. Al contrario stupiscono i contenuti avanzati il 12 aprile dalla puntata della trasmissione “Report”, anche lei lanciata contro la zootecnia e, più in generale, contro la filiera agroalimentare. A stupire non tanto la superficialità con cui son stati trattati i vari temi, ma che al massacro abbia prestato la sua immagine Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, lo stesso che parlando degli Zebù brasiliani usati per dar luogo alle bresaole valtellinesi ha inquadrato le bestie quali fac-simili delle zebre. Già è poco accettabile che in Italia ci sia stato un Ministro dell’Agricoltura, Nunzia De Girolamo, che pensava le lontre volassero, ma è noto che per fare i Ministri non si deve essere né competenti né laureati, però sorprende che il Presidente del più importante sindacato agricolo nazionale scambi un bovino per un equino e non sappia che dallo zebù discende la nobile razza delle vacche Piemontesi, risultando incapace davanti alle telecamere di difendere gli interessi di una larga parte dei suoi stessi associati.

Resosi conto della magra il poveruomo ha poi fatto ammenda via Facebook accusando di faziosità Rai 3, ma al momento non si ha notizia di smentite ufficiali di quanto trasmesso. All’atto pratico accade quindi che nessuna voce si alzi per difendere un settore che sicuramente non è immune da delinquenti, ma che appare alquanto diffamatorio presentare solo quale congrega di tali farabutti proponendoli quali paradigmi di interi comparti produttivi. Comparti all’interno dei quali invece operano anche seri professionisti che non è corretto coprire di immondizia. Anche perché, non lo si dimentichi, la popolazione mondiale è in crescita, c’è bisogno di sempre più cibo e quindi se l’agricoltura cerca di gonfiare le rese è solamente perché la domanda cresce, mentre le terre coltivabili calano e qualsiasi altra soluzione al problema, a partire dalla riduzione degli sprechi, è al momento semplicemente irrealizzabile. Un giornalista professionale, competente e obiettivo non dovrebbe mai scambiare le cause con gli effetti, ma evidentemente per fare il giornalista a Rai 3 professionalità, competenza e obiettività sono considerati optional non obbligatori.

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