“Eataly” e “Fico” tra sogni e realtà

21 Giugno 2023. A livello astronomico finisce la Primavera. A livello umano finiscono i sogni. In particolare quelli di Oscar Farinetti relativi alla possibilità di dar vita a una catena di ristorazione di élite, un mix fra il supermercato per pochi eletti e il ristorante gourmet.

“Eataly” e “Fico” tra sogni e realtà

Aveva chiamato tale organizzazione “Eataly” e l’aveva fondata nel 2002 ad Alba, ma dopo alterne vicende e nonostante i forti appoggi della Sinistra radical-chic, delle relative cooperative e di Coldiretti, è accaduto che a venti anni esatti di distanza il Consiglio di amministrazione di “Eataly” abbia dovuto approvare un bilancio in rosso con perdite per quasi 26 milioni di euro, disavanzo che sommandosi ad altre perdite accumulate negli anni precedenti ha dato origine a un rosso di circa 70 milioni. Una cifra superiore al patrimonio netto della società, 59 milioni, e che ha quindi reso necessaria la ricerca di nuovi soci. A pompare nuove risorse in “Eataly” per ora ci ha pensato Andrea Bonomi, a capo del fondo di private equity “InvestIndustrial” e membro dei Consigli di amministrazione di diversi e importanti gruppi produttivi. Nei progetti di Bonomi un completo riassetto delle società che però sempre rimarrebbero incentrate sul business del cibo di élite.

L’Italia non è un paese di ricchi

Peccato che le élite siano tali proprio perché costituite da un numero limitato di ricche persone a fronte dei milioni di individui che invece fan parte di quella borghesia e di quel proletariato che la ricchezza non sanno cosa sia, ma rivendicano comunque il diritto di nutrirsi. I ricchi inoltre sono capricciosi per natura e la velocità con la quale si innamorano del nuovo è pari a quella con cui fan marcia indietro quando il nuovo non è più tale. Più che logico quindi se gli sviluppi commerciali di “Eataly” e di tutte le altre simili iniziative che nel frattempo erano sorte in Italia siano stati contraddetti dalla dura e concreta realtà dei fatti. L’Italia è un grande paese ma non è un paese di ricchi, è una penisole piccola e lunga che dà alloggio a 58 milioni circa di persone la maggior parte della quali non si può permettere le sciccherie gastronomiche proposte da “Eataly” né ha tempo e denaro da spendere per visitare i centri enogastronomici alla “Fico”, altra iniziativa rivelatasi fallimentare ideata dall’affarista albese e proposta in quel di Bologna quale parco tematico del cibo italiano.

Ha bruciato soldi pubblici e privati, non ha mai attirato i visitatori previsti e alla fine si è trasformata in un inutile luna park. Non si doveva essere però laureati alla Bocconi per capire che il cibo d’elitè ha senso solo se proposto da organizzazioni agricole di stampo para-artigianale e non da supermarket di lusso in stile Esselunga, ma ciò nonostante i personaggi alla Oscar Farinetti o alla Carlo Petrini, fondatore dell’associazione “Slow Food”, hanno colonizzato per anni i media nazionale quali esperti dell’agroalimentare nostrano dispensando opinioni spacciate per autorevoli e super partes nonostante fosse spesso lampante che tali non erano. Vedasi a tale proposito le svariate topiche che ne hanno scandito i passati come per esempio quella legata all’etichetta “vino libero” che contrassegnavano certe bottiglie vendute da “Eataly”. Intervenne l’Antitrust ritenendo ingannevole il bollino in quanto induceva i consumatori a pensare che quei vini fossero prodotti con uve avulse da trattamenti fitosanitari, mentre in realtà erano uve coltivate in maniera del tutto tradizionale. Solo senza erbicidi.

50 mila euro di multa

Furono 50mila gli euro di sanzione per quella etichetta un po’ troppo furbetta, ma l’immagine di Oscar Farinetti non venne danneggiata, tant’è che rimase sempre in sella dicendo la sua ogni si parlasse di vini, di cibo, di agricoltura o di zootecnia, una sorta di guru carismatico che si autoproclamava capace di trasformare l’agroalimentare in una miniera d’oro dando indirettamente dell’incapace alle centinaia di migliaia di operatori della filiera che ogni giorno faticano e si impegnano per portare sulle tavole cibi decenti venduti a prezzi decenti.



La speranza è che la debacle commerciale di “Eataly” sia istruttiva e riabiliti quella tanto vituperata agricoltura tradizionale che troppo spesso guru di settore e politicanti da strapazzo inquadrano quale fonte dei molti mali che affliggono il Pianeta. Giusto difendere il tipico e il dop, intendiamoci, ma con la cipolla di Tropea, il radicchio di Treviso, la Fontina Valdostana piuttosto che col Brunello di Mantalcino sarebbe dura riempire la pance dei già citati 58 milioni di Italiani. E non lamentiamoci se dando ragione ai sedicenti guru poi vediamo arrivare a Bari arrivano navi cariche di quel grano che si è smesso di produrre e che quindi si deve acquistare altrove.

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Titolo: “Eataly” e “Fico” tra sogni e realtà

Autore: Donatello Sandroni

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